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NEWS
REGOLAMENTO DEI POTERI ANAC
30 aprile 2018

La Commissione Speciale del Consiglio di Stato con parere n.1119 del 28/04/2018 si è pronunciata favorevolmente sullo schema di Regolamento relativo l’esercizio dei poteri attribuiti all’Anac dai commi 1-bis e 1-ter dell’art. 211 delD.lgs.n.5072016 come  modificato dal D .Lgs.n. 56/2017.

In particolare, il comma 1- bis afferma che ANAC «è legittimata ad agire in giudizio per l’impugnazione dei bandi, degli atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”. Il successivo comma 1-ter stabilisce come l’Autorità laddove ritenga che «una stazione appaltante abbia adottato un provvedimento viziato da gravi violazioni del presente codice, emette, entro sessanta giorni dalla notizia della violazione, un parere motivato nel quale indica specificamente i vizi di legittimità riscontrati. Il parere è trasmesso alla stazione appaltante; se la stazione appaltante non vi si conforma entro il termine assegnato dall’ANAC, comunque non superiore a sessanta giorni dalla trasmissione, l’ANAC può presentare ricorso, entro i successivi trenta giorni, innanzi al giudice amministrativo». Dall’analisi del testo normativo è chiaro come i poteri attribuiti all’Autorità sono diversi «sia per il modo in cui si esprimono (ricorso diretto, nell’ipotesi del comma 1 – bis; ricorso previo parere motivato, qualora la stazione appaltante non si sia conformata a quest’ultimo, nell’ipotesi del comma 1 – ter), sia per i presupposti (bandi, altri atti generali e provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, violativi di norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture nell’ipotesi di cui al comma 1 – bis; provvedimenti viziati da gravi violazione del (presente) Codice, nell’ipotesi di cui al comma 1 – ter)». Dunque, è ragionevole ritenere che il Legislatore nella prima ipotesi «abbia inteso configurare una situazione di maggior pericolo per l’interesse pubblico, stante il rilevante impatto – qualitativo e/o quantitativo – dei contratti cui si ricollegano le violazioni in materia di contratti pubblici, tali da giustificare una legittimazione ad agire in giudizio indipendentemente da un previo parere motivato, laddove nella seconda ipotesi (comma 1 – ter) abbia ritenuto che le violazioni del Codice, pur gravi, potessero essere adeguatamente salvaguardate dallo stesso potere di autotutela della stazione appaltante, sollecitato dall’Autorità mediante il parere motivato, e solo all’esito dell’infruttuosità della sollecitazione direttamente dall’Autorità».

Il Collegio sottolinea come in luogo delle raccomandazioni vincolanti risulta attribuito all’Autorità «un potere di agire in giudizio, a tutela dell’interesse pubblico generale, in via diretta (art. 211, comma 1 – bis) ovvero previo parere motivato, cui la stazione appaltante non si sia conformata (art. 211, comma 1 – ter)». In particolare la norma conferisce ad Anac un peculiare «strumento di vigilanza collaborativa (con le stazioni appaltanti) che si coniuga con i più generali poteri di vigilanza e controllo (delineati dall’art. 213 del Codice) per assicurare – quanto più possibile – il pieno ed effettivo rispetto dei principi su cui sono imperniati gli appalti pubblici». La Commissione ha precisato, infine, che «attraverso la previsione del potere regolamentare il legislatore ha inteso limitare quell’ampia discrezionalità affinché la stessa non si trasformi in arbitrio o irragionevolezza». Infatti  «all’eccezionalità del potere di azione riconosciuto all’Autorità corrisponde il potere/dovere di individuare – preventivamente ed in via generale – “…i casi o le tipologie di provvedimenti in relazione ai quali [l’Autorità] esercita i poteri di cui ai commi 1 – bis e 1 – ter” con funzione evidentemente limitativa di quella eccezionale legittimazione ad agire: in tal senso deve ritenersi che, allorquando la norma di legge (comma 1 ter dell’art. 211) usa l’espressione “può”, piuttosto che attribuire all’Autorità una facoltà o un diritto potestativo, la autorizza ovvero la abilita a porre in essere attività che, secondo i principi generali dell’ordinamento, non le spetterebbero».

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